Per 
commercianti e 
artigiani il federalismo potrebbe non essere un buon affare: passando dall'
Ici all'Imu, (dall'imposta comunale sugli immobili all'imposta mun
Icipale unica) rischiano di pagare più tasse sui loro laboratori, negozi, fabbricati.
In teoria - per parlare di pratica bisognerà vedere come si muoveranno i  Comuni - la quota versata potrebbe addirittura raddoppiare. La polemica  è scoppiata nei giorni scorsi, lanciata dal Pd che ha parlato di una  «patrimoniale nascosta» fra le righe del decreto che oggi passerà al  voto della Commissione Bicamerale. Il governo rifiuta tale accusa e  assicura che alla fine- tenendo conto sia del fisco locale che di quello  nazionale - non ci sarà alcun appesantimento a carico dei lavoratori  autonomi. Nei fatti le cifre sono queste.
Oggi l'
Ici sugli immobili strumentali (quelli che  l'impresa utilizza per produrre) può variare fra il 4 e il 7 per mille.  E' il Comune a decidere ed eventualmente a prevedere aliquote agevolate  per particolari categorie (ad esempio a Roma per i negozi stor
Ici).  L'aliquota media sul territorio nazionale è del 6,4 per mille e uno  studio della Confartigianato sul peso della fiscalità locale fa notare  che una piccola impresa - per l'
Ici - può versare dai  1.404 euro annui di Aosta ai 2.235 di Massa Carrara. L'Imu - che la  sostituirà e ingloberà anche i tributi sui trasferimenti di immobili -  secondo quanto previsto nell'ultima bozza è fissata al 7,6 per mille,  con un aumento medio sull'
Ici del 18,75 per cento. Ai  sindaci, inoltre, sarà data facoltà di abbassare o alzare tale aliquota  del 3 per mille, ma tenendo conto della loro necessità di far quadrare i  conti la seconda ipotesiè più probabile della prima. Se così fosse già,  ragiona l'opposizione ,si potrebbe passare da un 4 per mille di 
Ici  (aliquota minima, ma comunque applicata in diversi piccoli comuni) al  10 per mille e oltre. Certo bisognerà poi vedere come i sindaci si  muoveranno sul territorio, ma il rischio c'è. Anzi, secondo il Pd, il  salasso potrebbe essere ancora più grave: «La quota del 7,6 per mille  fissata dal governo come aliquota necessaria a compensare i mancati  trasferimenti dallo Stato agli enti locali - commenta Stefano Fassina,  responsabile economico del partito - è sottostimata, secondo i nostri  calcoli l'aliquota necessaria a tale copertura arriva all'8,5 per  mille». Se così fosse il peso finale potrebbe superare l'11 per mille.
Proiezioni a parte il problema esiste e preoccupa assai i piccoli  imprenditori. Cna e Confesercenti fanno notare che non a caso una prima  versione del testo sul federalismo prevedeva che agli immobili  strumentali di 
artigiani e 
commercianti  fosse applicata un'aliquota Imu dimezzata. Poi i dibattiti con l'Anci e  la necessità di incassare il «sì» da parte dei Comuni ha convinto il  governo a lasciar stare gli sconti e aumentare la potenzialità dei  sindaci nel fare cassa. Tanto più che nel frattempo si era deciso di  reintrodurre l'esenzione Imu per chiese, scuole, hotel e oratori  religiosi.
La Sardegna, comunque, già si è nettamente espressa contro l'Imu.  Massimo Putzu, leader regionale di Confindustria, ha parlato di «salasso  insostenibile: se i conti locali non saranno in ordine le imprese  saranno spremute come limoni». Il governatore Ugo Cappellacci (Pdl) ha  precisato: «Ci opponiamo all'estensione dell'Imu alle regioni a statuto  speciale: difenderemo la peculiarità del nostro sistema produttivo».